mercoledì 23 luglio 2008

The Koln Concert




"Non possiedo nemmeno un seme quando comincio a suonare. E' come partire da zero. [...] Il jazz è lasciare che la luce brilli. Non cercare di accrescerla, lasciarla essere" (K. Jarrett).
Queste due frasi potrebbero bastare a recensire l'intera discografia di Keith Jarrett. Chiunque abbia mai eseguito dell'improvvisazione totale, a qualsiasi livello e su qualsiasi strumento, sa che la seconda frase è dannatamente vera. Se provi solo un momento a strafare, a suonare una nota che non senti, l'ascoltatore se ne accorge e l'atmosfera si fa tesa, perciò devi riprenderti subito l'ispirazione altrimenti va tutto a puttane.
"Solo nell'improvvisazione l'ascoltatore ha la possibilità di avere un reale contatto con il musicista, senza la normale distanza che esiste in altri tipi di esecuzione. Ogni nota non è scritta su uno spartito è non è stata neanche prevista prima. Ogni nota è nel presente ed è viva".
Queste parole possono non avere alcun senso per qualcuno di voi ma credetemi, il concerto di Colonia ne è la prova. Forse per questo nessuno è stato abbastanza matto da recensirlo finora, perché pensare di poter spiegare questa musica è veramente una mattata. Infatti la infarcirò di citazioni di Jarrett. Meglio lasciar parlare lui.
Comunque, il presentimento che questo sarebbe stato un concerto particolare (diciamolo pure, di merda) si ebbe quasi subito, come narra uno dei classici dell'aneddotica: 24 gennaio 1975. Jarrett è arrivato il giorno stesso in macchina dalla Svizzera, dopo aver passato una notte in bianco. Ha mangiato da un quarto d'ora in un pessimo ristorante. Incazzato, con i krauti sulla bocca dello stomaco e la palpebra pesante raggiunge il teatro dell'Opera, dove al posto del Bosendorfer grancoda che aveva ordinato c'è un buffo attrezzo che "suonava come una pallida imitazione di un clavicembalo o un piano barrelhouse, era lungo sette piedi e neanche era stato revisionato". In più si vede praticamente costretto a suonare nella parte centrale della tastiera, visto che gli estremi sono piuttosto scordati.
Nel backstage Keith attende il suo momento. Ormai non gliene importa più nulla, forse non ha neanche il formicolìo ai piedi da pre-concerto. Se ne sta seduto ad aspettare che gli si tolga questo dente, con la testa già in America, e il mento sul petto.
E' il momento. Keith entra, fa l'inchino e va a sedersi.
Gli applausi sfumano.

"La cosa più importante in un mio concerto è la prima nota o le prime quattro note. Se hanno sufficiente tensione, il resto del concerto viene da sè, quasi naturalmente [...] bisogna solo raggiungere il nucleo della musica e poi questa suona da sola".
Ascoltate le prime cinque note del concerto. Più che tese sono sospese, come in levitazione. Poi il resto va da sé.
"Se si è un improvvisatore, un vero improvvisatore, si deve avere familiarità con l'estasi (io direi "l'ispirazione", n.d.r.), altrimenti non si entra in contatto con la musica. Quando si compone si aspetta che questi attimi particolari giungano (appunto, l'ispirazione n.d.r.), in qualsiasi momento questo accada. Può anche darsi che oggi non arrivino. Ma quando s'improvvisa, alle otto di stasera per esempio, è necessario avere una tale familiarità con questo stato da poterlo raggiungere comunque".
Molti brani del concerto li conosco a memoria. Li ho marchiati nel cervello, come altre diverse migliaia di persone. Questo disco è notoriamente il più venduto di Jarrett, e l'unico bestseller jazz a non essere un disco jazz.
I puristi infatti hanno cominciato subito a storcere il naso (e ad ascoltarlo e riascoltarlo in gran segreto), ma qualcuno dovrebbe spiegargli che questo non è jazz. E' Keith Jarrett.

fonte:
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_3928/Keith_Jarrett_The_K_F6ln_Concert.htm

se volete fare un magico regalo alla persona a voi cara, questo cd è decisamente il modo giusto per farvi ricordare per sempre!! parola di gianca :-)

Horowitz The last romantic











Si tratta di un eccezionale documentario intervista girato a casa del celebre pianista. Più che un'intervista, in realtà, è un dialogo fra persone che conoscono la musica, un dialogo a livello familiare, con la differenza che è stato filmato. Horowitz si rivela essere un uomo davvero simpatico e profondo al tempo stesso: un uomo di grande cultura, musicista supremo e pianista fenomenale, nonostante l'età avanzata (ha già superato gli 80 anni). Siamo nel salotto di casa sua, e fra un dialogo ed un altro, si siede al pianoforte, è il caso di dirlo, a miracol mostrare. Il suo Bach-Busoni è semplicemente una delle cose più sensazionali che abbia mai ascoltato di Bach, all'improvviso non si è più in questo mondo, ma lontani dal caos e dal disordine: le ottave che iniziano il pezzo, così profonde ed allo stesso tempo di una qualità spirituale altissima, sono un miracolo. La sonorità del pezzo non ha niente di umano, eppure è di una qualità umana indescrivibile. Ed ecco, appena spento l'ultimo accordo di sol maggiore, che riprende a parlare come se non avesse appena dato voce alle sfere più elevate della coscienza. E parla di tutto, del suo amore recente per Mozart, del quale esegue la sonata in K.330, di nuovo con un suono spirituale ineguagliabile, dei suoi ricordi di Toscanini, del quale ha sposato la figlia Vanda, insieme a lui nel documentario. E' particolarmente spiritoso quando Peter Gelb gli chiede quale sia la foto che preferisce fra quattro appese alla parete, e lui esita... infine indica Rachmaninoff e Toscanini, al che la moglie interloquisce immediatamente: "Non preoccuparti, dì pure che preferisci Rachmaninoff!". Egli era stato amico del grande compositore, che rimase abbagliato dall'esecuzione che il giovane pianista aveva dato del suo terzo concerto. Quando si incontrarono la prima volta, egli eseguì il concerto per il compositore, e Rachmaninoff lo accompagnò al secondo pianoforte! Diventarono immediatamente amici, e si frequentarono fino alla morte del grande uomo, avvenuta nel 1943.
Fra altri ricordi ed interessantissime riflessioni, il Maestro ci regala una versione unica dell'Impromptu di Schubert, iniziato come se una voce arrivasse da un altro mondo, e finito in un fragoroso fortissimo, con gli accordi riempiti arbitrariamente. Che dire dello scherzo di Chopin? Una delle migliori interpretazioni del pezzo, anche se Sviatoslav Richter si riferì a questa con l'aggettivo "spaventoso". Per me, invece, è semplicemente ineguagliabile! Mi è particolarmente cara la Consolation in REb, perchè restituisce Liszt alla sua dimensione religiosa, il suono non è "dolce" come spesso viene suonato Liszt in questi casi, conferendo al pezzo un carattere sentimentale, bensì "sottile" ed allo stesso tempo "grande", intimo e sommesso perfino, di una forza espressiva che sfiora il miracoloso. Anche la celebre Polonaise è resa in maniera poco fedele al testo, ma è ugualmente convincente. La cinepresa riprende dall'alto il celebre passaggio ad ottave della mano sinistra, per la gioia di tutti i pianisti, e del resto le inquadrature rivelano al meglio il gesto pianistico meraviglioso ed assolutamente unico. Se osserviamo le mani dei grandi pianisti, notiamo come queste esprimano una forte personalità, sono modellate in maniera tale da far pensare che il lavoro e l'anima le abbiano modellate alla loro causa elevata. Quelle di Horowitz sono forse le più belle, fra quelle a me note, come intagliate nel marmo: non grandi quanto quelle di Richter (Horowitz prendeva una decima e non di più, osservate bene il video e basatevi anche sulle testimonianze sue e di altri), ma incredibilmente belle.
Bè, tutto qui, spero che l'ipotetico lettore possa prendere questo dvd, testimonianza inestimabile dell'arte di uno dei più grandi pianisti di ogni tempo.

Il dvd
Sia la qualità audio che video sono ottime, restituiscono appieno il suono del grande pianista.

In conclusione
Grande occasione di avvicinarsi ancora una volta all'arte di Horowitz, e ottimo inizio per chi non lo conoscesse ancora. Fra tutti i documenti su Horowitz, questo è quello che preferisco. E' stato quello che me l'ha fatto conoscere, e devo a lui se sono riuscito ad entrare nel mondo di Bach. Non so come abbia fatto, ma con quella trascrizione di Busoni, Horowitz mi ha aperto le porte alla conoscenza, e soprattutto all'amore, per questo grande compositore che non ero mai riuscito a comprendere.

articolo di Andrea Rossi
fonte:
http://www.spaziofilm.it/content/archivio/articolo_dvd.asp?id=4060