martedì 14 ottobre 2008

la mente

La mente – è più grande del cielo –
Perché – se li metti fianco a fianco –
L’una contiene l’altro
Facilmente – e te – anche –

La mente è più profonda del mare –
Perché – se li tieni – blu contro blu –
L’una assorbirà l’altro
Come una spugna – un secchio –

La mente ha giusto il peso di Dio –
Perché – alzali – libbra su libbra –
Ed essi differiranno – semmai –
Come suono da sillaba.


Emily Dickinson, 1862

venerdì 12 settembre 2008

L'uomo con i birilli



Molte volte, durante il tragitto per andare al lavoro, camminavo a piedi, lunghi tratti sui marciapiedi cittadini, e mi piaceva osservare le persone che mi passavano accanto. Ma questa volta era diverso, perché quest’uomo, dall’età approssimativa di circa 40 anni, lui era fermo davanti alle vetrine di un centro commerciale. Il suo compito, era quello di fare divertire i bambini ed anche gli adulti, lanciando in aria tre birilli e senza farli cadere, davvero era un ottimo giocoliere!.
Sdraiato ai suoi piedi vi era poi il suo cane, un barboncino di media taglia che coperto bene rimaneva sdraiato ad assistere allo spettacolo del suo padrone. Accanto al cane una ciotola per il suo cibo, e un bicchiere di carta targato CocaCola, dove vi erano posati degli spiccioli che persone gentili e generose vi depositavano.



Già una volta, in velocità, in quanto stava giungendo il mio tram, avevo deposto anch’io qualche moneta e mi ricordo ancora il sorriso sul volto di questo signore…per un attimo mi ero sentito importante, per un semplice gesto, però venuto dal mio cuore spontaneamente. Erano passati tanti giorni da quella volta, e finalmente lo avevo rivisto ancora nello stesso posto con i sui birilli che volteggiavano in aria…. Ovvio da parte mia l’intenzione di offrirgli ancora qualche moneta per lui ed anche per il suo cane, e quella sera lo stavo per fare, ma il tram che arrivava me l’impedi’, sarei arrivato a casa da mia moglie e dai miei figli in ritardo. Mi ero comunque ripromesso il giorno dopo di provvedere, ma ahimè , dal giorno dopo non lo vidi più, quell’artista con la sua lunga barba e il suo dolce sorriso.. Non so dove sia andato, se ha cambiato zona, oppure città, ma ancora ora provo un senso di fastidio, e di colpa per non essermi fermato quella sera, regalandogli ancora un sorriso.
Da quel giorno, mi sono fatto una promessa ed è questa, mai rimandare per nessuna ragione un gesto che si vuole compiere, oppure una frase che si vuole dire…magari il giorno dopo è troppo tardi.

Giancarlo, Milano, Italy

foto: courtesy of Flickr http://www.flickr.com/photos/fabietto1970/1361170791/

Che cosa ti aspetti da me? di Lorenzo Licalzi


La vita può essere raccontata in un libro?...l’autore genovese Lorenzo Licalzi è riuscito alla grande grazie al suo magnifico libro “Che cosa ti aspetti da me?”,che ho avuto la fortuna di leggere.
Di questo scrittore,avevo già letto “Il privilegio di essere un guru”,storia esilarante del magico Zanardi rubacuori e poi”Non so” altro gran bel libro.
Ma non pensavo di commuovermi ridendo e grazie a questa lettura,ho provato emozioni forti e uniche che sono riuscite ad aprire il mio cuore.
Questo è il romanzo che ci narra la storia di una vita,quella di Tommaso Perez,fisico nucleare dal carattere scorbutico e scontroso,che un ictus lo rende infermo e costretto sulla carrozzella in un ospizio.
Da giovane,era abituato ad addormentarsi guardando le stelle e ora si trova disteso sul letto della sua camera a fissare “una crepa sul soffitto”…
…vi riporto parte del capitolo 1. Guardando una crepa sul soffitto
Ora che sono vecchio, e stanco, e solo, se mi guardo indietro mi sembra che la mia vita sia la vita di un altro. Le persone che amavo non ci sono più. Una dopo l’altra sono state inghiottite dagli anni. Mi restano solo i ricordi, ma non bastano. Sono ricordi vuoti che la memoria non riesce a ritrovare con l’intensità di un tempo. Frammenti aridi, come anestetizzati da qualsiasi emozione tanto da sembrarmi anche quelli i ricordi di un alro. Non è la memoria che ho perso ma la nostalgia del ricordare. L’ictus, che mi ha paralizzato un lato del corpo, non ha risparmiato la mente, non del tutto, almeno. Ancora ragiono bene, ma alle volte mi perdo, confondo i tempi, gli spazi, i gesti e le parole. Confondo i pensieri. E anche quando ritorno me stesso, non sono mai il me stesso che ero, ma quello che la vecchiaia mi ha concesso di essere, un uomo che vive i suoi giorni con grande distacco, non solo dagli altri, perfino da sé.
Eppure, nei sotterranei della coscienza, l’essenza ultima della mia persona non è cambiata, è la stessa di quando avevo vent’anni o quattordici o nove, forse.
Senza la purezza di quei tempi, d’accordo, senza fremiti o entusiasmi, addomesticata dalle vicissitudini della vita, annichilita dalla malattia, ma il mio essere più profondo, ora lo so, non è invecchiato. Io ho l’anima del bambino che ero e il corpo del vecchio che sono.
Ogni mattina mi sveglio da un sonno leggero di poche ore, apro gli occhi che è buio e aspetto, guardando una crepa sul soffitto, che mi vengano a tirare via da questo letto nel quale sono affondato.
Qualche infermiera è gentile, ma anche la gentilezza ormai mi infastidisce, soprattutto se, come capita spesso in questa casa di riposo, è sporcata da un velo di ipocrisia, o di pietà, che per me è anche peggio.
Quasi tutte mi danno del tu, mi lavano sbrigative e mi siedono su una carrozzella sghemba. Le più gentili mi trattano come un bambino o un minorato mentale, le altre come un pesante oggetto da spostare. E ieri una ausiliaria che si chiama Linao Tina o Pina, non so, mi ha detto che sono scemo.

Ma si sa che l’Amore è un magico sentimento e arriva inaspettato nella vita di Tommaso, quando meno te lo aspetti. Un amore nobile e maturo, lo si potrebbe definire,il sentimento nato tra due anziani costretti a vivere in una casa di riposo, mentre attendono la fine dei propri giorni.
Elena è l’Amore e grazie a lei, Tommaso troverà la forza di reagire alla sua malattia e scoprirà nuove ragioni per vivere.
Che cosa ti aspetti da me?, mi ha fatto sorridere, mi ha fatto scendere lacrimoni di gioia, mi ha fatto riflettere e mi ha aperto il cuore, facendovi entrare emozioni tipo la cascata del Niagara!...
In questo libro si parla di Dio, Tommaso Perez, sembra non crederci, mentre Elena ha fiducia in una vita oltre la vita, nell’aldilà.
Questa lettura ci pone interrogativi su quello che la vita può riservare ad ognuno di noi, come in un attimo la nostra vita può cambiare in peggio se mai esiste il peggio…
Tutti i personaggi magistralmente scritti da Licalzi, sono pungenti ed ironici allo stesso momento e sembrano essere vivi nelle pagine che leggiamo e entrano nelle nostre vite.
Non a caso Licalzi ha fondato e diretto per anni una casa di riposo ed oltre che essere uno scrittore di successo è anche psicologo. Questo gli ha permesso di osservare gli anziani e i loro comportamenti.
Nel capitolo “La poltrona vicino al bagno” in maniera ridicola ci riproduce uno spaccato della nostra società portata nel prevalere sul prossimo e nella lotta per la sopravvivenza in un microcosmo dimenticato e decadente, quale è la casa di cura.
Penso, che “Che cosa ti aspetti da me?” si sarebbe potuto tranquillamente intitolare “Il privilegio di essere un anziano”, visto l’argomento che tratta, cioè la vecchiaia in maniera esilarante ma nello stesso tempo cruda e reale.
Molto belli i capitoli “ Per fortuna c’è Elena”-“La fisica è Dio” e “Il privilegio dell’irriverenza”, ma anche gli altri capitoli meritano un applauso a mani e cuori aperti!...grazie Licalzi per la gioia che ci hai regalato…
Struggente il capitolo” Chiudi per un attimo gli occhi”, il regalo di Elena a Tommaso per il suo compleanno…memorabile come la lettera di Elena per Tommaso…
Beh, ora mi permetto di chiedere a tutti i lettori del mio post di chiudere per un attimo i vostri occhi e fissare dal vostro letto della vostra camera il soffitto, e magari usando un pochino della mia fantasia, forse potrete vedere una magica crepa del soffitto che si aprirà magicamente per farvi vedere il cielo pieno di stelle, e dove ogni stella rappresenta un vostro piccolo desiderio e con i vostri desideri o sogni, vedete voi come chiamarli, vi saluto e vi auguro una buona lettura che possa donarvi tutta la gioia che ho avuto la fortuna di provare io grazie a queste meravigliose 188 pagine.

Come ultimo regalo vi scrivo parte del capitolo 13. Che cosa ti aspetti da me?

Siamo stati bene e in fondo sono contento di esserci andato, anche se Anzio non l’ho vista e il pesce era marcio e il resto della compagnia pure, ma sono contento perché altrimenti non avrei fatto a Elena una certa domanda e lei non mi avrebbe dato una certa risposta.
A un certo punto ci siamo trovati in silenzio e non so, forse sarà stato perché eravamo in un posto diverso dal nostro giardino, forse sarà stato perché in quel momento sembravamo una coppia normale, due anziani che si vogliono bene e sposati da chissà quanto tempo che guardano il mare in una splendida giornata di fine settembre dalla terrazza di uno stabilimento balneare di Nettuno, ma a poco a poco quel silenzio si è caricato di insolite vibrazioni.
Ogni tanto incrociavamo gli sguardi, accennavamo un sorriso, Elena si aggiustava i capelli mossi dal vento, tutto pareva normale eppure si era creata tra di noi una sensazione di attesa, difficile da spiegare. Sentivo di dover fare qualcosa, o dirle qualcosa, si era creato un improvviso vuoto di comunicazione tra di noi, il silenzio dolce fino a un attimo prima era diventato meno sereno. Ho pensato che forse il nostro rapporto, per quanto suoni così strano dirlo, dovesse cambiare. Sentivo che forse lei si aspettava qualcosa da me e allora gliel’ho chiesto, le ho chiesto chiaramente,bruscamente forse:
“Elena, che cosa ti aspetti da me?”. Non lo avrei chiesto a nessun altro, ma con lei era diverso. Con lei, in quel momento, avvertivo il peso di un’aspettativa, forse di un desiderio, e non me la sentivo di far finta di niente.
Lei si è voltata, mi ha guardato negli occhi, e con un lieve sorriso mi ha risposto. E sapete cosa mi ha detto?
“Mi aspetto che tu non mi chieda cosa mi aspetto da te”.
Io ho balbettato qualcosa ma non ricordo cosa, lei mi ha preso la mano, mi ha sorriso ancora e mi ha detto: “Va bene così Tommaso, tranquillo, va bene così”.
Tornando a casa, la sera, guardavo fuori dal finestrino e riflettevo su quella risposta, e le ero così grato…così grato, molto pù grato che se mi avesse detto semplicemente:” Niente”. Quel giorno, per la prima volta, ho pensato quel che penso ancora oggi: io mi aspetto soltanto una cosa da lei, che muoia dopo di me.

p.s.
a grande richiesta ho inserito il mio post e la felicità sta arrivando,senti il gran casino che fa?...io la vedo benissimo!!! :-)
gianca

Un magico folletto


Come un folletto magico
appari e scompari,
il tempo che passo con te,
vola via come un gabbiano
in alto nel cielo.
Ma prima o poi
so che ritornerai
e aspettarti io saprò.
Nascosto nel bosco fatato
mi accontenterò dei fugaci momenti tuoi
e nel mio cuore
avrò fatto spazio per te.

Mio caro e dolce folletto magico
dal tuo buffo sorriso,
so che stai per apparirmi ancora
ed aspettarti io saprò
e fermare il tempo
io ci proverò.

Giancarlo Trabatti

foto www.flickr.com/search/?q=folletto&page=7 calamite baby

IL GABBIANO














Se potessi scegliere,
in un’altra vita
vorrei essere un gabbiano

per librarmi in volo
nei cieli del mondo
e sfiorare le onde dei mari

avrei accanto a me
tanti amici pennuti
e l’aria fresca
che mi ricorda
d’esser vivo

non posso parlare
ma solo cantare
e nel mio verso stridulo…
c’è tutto quello
che una persona
vuole sentire…

a volte…
le persone possono trasformarsi
in gabbiani
ed i gabbiani
diventare umani

sta a noi
sapere cosa vogliamo essere
persone per amare
o gabbiani per sognare…

ora sono un gabbiano
e in alto voglio volare
per salutare
quella bambina
sulla riva del mare…

Giancarlo Trabatti

Attimi di felicità


Camminando solo
per le strade di Milano,
a volte mi appaiano
come per incanto
e mi fanno compagnia
come spettatori di verità nascoste.

Sono loro,
gli attimi di felicità,
che ognuno di noi
vive o vivrà.

Sfuggevoli e brevi
ma pur sempre
attimi di felicità
per noi
eterni sognatori,

che amiamo
l’arcobaleno a colori
della nostra stessa vita.

Raccogliamoli
come se fossero delle farfalle
e poniamoli
nel nostro cuore
e quando saremo tristi,
li faremo volare
in alto nel cielo
dei nostri pensieri.

Giancarlo Trabatti

Due donne e un uomo a Manhattan


Mi ero alzato come sempre verso le tre di mattino e oramai non avevo più sonno. Fuori nevicava bene e, velocemente vestitomi, mi ritrovai fuori dal mio portone... dalla fretta mi ero dimenticato la luce accesa della mia camera, ma non avevo voglia di ritornare per spegnerla e quindi mi avviai sconsolato per i marciapiedi di New York con la testa ovattata da mille pensieri indefiniti...
Camminando piano per non scivolare ero arrivato ad un incrocio dove si poteva scorgere un semaforo dalle luci ad intermittenza. Accanto a quest'incrocio desolato, c'era una caffetteria nei pressi di Washington Square e m'infilai dentro per scaldare le mie carni infreddolite dalla bassa temperatura.
Entrando vidi subito alcuni clienti seduti ai tavolini a consumare ed altri uomini al banco curvi a sgolarsi rum e vodka e a parlare di niente...

Alla mia sinistra, sedute ad un tavolo, due donne stavano consumando dei dolci appena sfornati e ridevano tra loro. Come attratto da una calamita, m'avvicinai a loro e chiesi se potevo sedermi e fare loro compagnia, magari offrendo del caffè fumante. Sorridendo al mio sguardo, la più anziana mi fece cenno di sì e ordinammo due caffè macchiati al latte caldo e uno per me lungo. Una delle due donne era su d'età, anche se i suoi tratti ricordavano una giovinezza appena sfiorita, mentre la seconda era più giovane e mi colpirono subito i suoi occhi d'un colore indefinito, che andava dal celeste al verde... come un dejà vu, parlammo per ore ed ore e fummo accompagnati anche da brani musicali scelti da me e dalla giovane donna dal juke-box del locale.
Furono con noi Norah Jones con il suo "Come away with me", Joaquin Rodrigo e "Il concerto di Aranjuez", poi a seguire Armstrong e "What a Wonderful World" ed infine Frank Sinatra con "Sunrise in the morning" e "Don't ever go away".
Tra musica, sguardi e parole, mi trovai coinvolto in conversazioni belle che in un baleno ci portarono alle prime luci del giorno. Pagammo il nostro conto e ci ritrovammo sul marciapiede bianco di fiocchi di neve. Allora come d'incanto mi ritrovai a braccetto queste due donne sconosciute fino a poche ore prima, ma che in questo momento mi pareva di conoscere da un'eternità... una alla mia sinistra e l'altra alla mia destra, ed era come se questo fosse già accaduto... tanto tempo prima. Mi voltai e potei scorgere sulla strada le nostre impronte sulla neve fresca ad allora capii che tutto ciò che mi stava capitando non era frutto delle mie fantasie notturne, ma era tutto reale e, felice, continuai a camminare, camminare, camminare, camminare, con loro due...

Non chiedetemi in quale direzione, so solo che camminammo per molte altre ore e non me ne importava nulla, quello che era certo, è che l'inizio del nuovo Anno che arrivava, nasceva sotto buoni auspici e sarebbe stato fantastico... e ridendo tra me e me proseguii il cammino a braccetto delle mie due donne che, guardandomi negli occhi, si misero a sorridere.

Giancarlo Trabatti, dicembre 2005

p.s.
questo mio racconto vuole essere un omaggio alla splendida Emi che ho avuto la fortuna di conoscere su questo pianeta terra ed ora la saluto nel meraviglioso luogo dove riposa felice!... sarai sempre nei nostri cuori cara Emi :-) i tuoi due buffi amici minni e gianca :-) ciao magica Emi!
p.s.due
questo mio post datato riappare per magia a grande richiesta! :-) buona lettura!

foto gianca è appena arrivato dal lontano pianeta kpax! autoscatto di gianca