mercoledì 19 dicembre 2007

Petrucciani, piccolo grande poeta della tastiera

Enzo Boddi
Quest'anno ricorre il quinto anniversario della scomparsa di Michel Petrucciani, stroncato da un'infezione polmonare ad appena 36 anni il 6 gennaio 1999 (era infatti nato a Montpellier il 28 dicembre 1962). La recente pubblicazione di vario materiale tratto da differenti capitoli della sua parabola artistica fornisce validi strumenti per una valutazione a mente fredda del suo contributo alle vicende del jazz contemporaneo, maturato in una ventennio scarso di fervida attivit�.

A rendersi protagoniste delle lodevoli iniziative sono state la Dreyfus [Distr. Egea] e la Sunnyside, che - come noto - ha rilevato il catalogo della scomparsa OWL. L'etichetta francese ha curato l'uscita della raccolta So What (che documenta vari aspetti del lavoro di Petrucciani negli anni '90) e di Dreyfus Night in Paris, testimonianza live di una all-stars diretta dal bassista Marcus Miller. La casa americana ha invece ristampato Michel Petrucciani, prima incisione del pianista come titolare.

L'osteogenesi imperfetta da cui Petrucciani era affetto prima ne aveva fatalmente pregiudicato il normale sviluppo, quindi minato irrimediabilmente il fragile equilibrio fisico. Nella sua condizione di predestinato ad una morte prematura, era in grado di creare autentica bellezza nel suo rapporto con la tastiera, quasi per compensare ci� che la natura sembrava avergli crudelmente negato. Con tutto ci�, non � il caso di privilegiare visioni pateticamente romantiche sul significato ed i presupposti della creazione artistica. Petrucciani era invece solito fare dell'umorismo sulla sua condizione. Inoltre, una volta raggiunta la celebrit�, era diventato suo malgrado un ingranaggio del mastodontico apparato che regola l'industria discografica ed i circuiti concertistici.

Indipendentemente dal contesto e dalle formazioni che lo affiancavano, ogni suo concerto era un avvenimento ed attirava vaste platee, incantate dal suo magistero pianistico, ansiose di vederlo impegnato nel suo febbrile approccio alla tastiera, che sotto le sue mani diveniva, pi� che un tramite, quasi un'appendice. Michel l'affrontava con energia prodigiosa, come se fosse posseduto da un furore dionisiaco, riuscendo a coprirne l'intera estensione a dispetto della menomazione fisica, sostenuto dal pedale di rinvio collocato sotto la tastiera.

Al termine dei suoi concerti, o in occasione di alcune sue uscite discografiche, non mancavano naturalmente le critiche, com'era giusto che fosse, da parte di chi avrebbe preferito apprezzarne il lato pi� intimista o valutarne le capacit� di analisi introspettiva, una volta tanto a discapito della tecnica prodigiosa e del fraseggio scintillante e torrenziale. Non erano neanche cos� rari i casi in cui, negli anni '90, gli si rimproverava un certo autocompiacimento, una certa qual tendenza a specchiarsi nelle proprie capacit�. In questo atteggiamento qualcuno addirittura intravedeva il tentativo di mascherare una stasi creativa.

D'altronde, per quanto iscrivibile a pieno titolo nell'ambito del pianismo jazz contemporaneo, il suo stile era alimentato da una profonda consapevolezza della tradizione che lo aveva preceduto. Non a caso, Petrucciani citava spesso Erroll Garner come suo principale ispiratore, il che giustificava pienamente il tocco percussivo, la concezione orchestrale e quel sentore di stride che si coglievano nel suo linguaggio. Al tempo stesso, si avvertiva fra le righe il retaggio della tradizione romantica europea ed in particolare della corrente impressionista, il cui influsso era stato introdotto in modo sottile e geniale da Bill Evans nella sintassi del jazz moderno.

Al culmine del successo Petrucciani appariva in scena sorreggendosi sulle stampelle ed instaurando col pubblico (con il quale amava confrontarsi) un dialogo disinvolto, eppure garbato e spiritoso, privo di aspetti istrionici. Tutt'altra cosa rispetto a quell'esserino che il batterista Aldo Romano o il sassofonista Charles Lloyd portavano in braccio sul palco all'inizio degli anni '80.

Con i musicisti suoi collaboratori Petrucciani tendeva ad avere un rapporto paritario e democratico, oltrech� molto umano. Tale atteggiamento si rifletteva tanto sulle scelte musicali (arrangiamenti, composizione delle scalette ecc.) quanto sulla condivisione di diritti e doveri. Una filosofia di lavoro che, senza dubbio e con molta frequenza, si riverberava in modo benefico sugli esiti squisitamente musicali, determinando un forte senso di coesione nelle incisioni e nei concerti.

So What documenta dunque il poliedrico Petrucciani degli anni '90, impegnato in contesti disparati. Tra le vette espressive di quel periodo vanno senz'altro annoverati i due episodi di Conf�rence de presse, in cui il confronto con l'organista franco- martinicano Eddy Louiss tocca momenti di grande intensit�, contrapponendo efficacemente il retaggio europeo a quello afroamericano, grazie ai connotati swinganti e churchy dell'organo ed al tocco secco, venato di blues feeling di Petrucciani.

Il pianista ebbe modo di sondare questo approccio in un altro duetto, quello con il padre Tony, chitarrista, in Conversation. D'altro canto, la dimensione del duo si addiceva pienamente a Michel, che l'aveva gi� sperimentata con successo negli anni '80, prima con Lee Konitz (Toot Sweet, OWL, 1982), poi con il contrabbassista Ron McClure (Cold Blues, OWL, 1985).

Tuttavia, il trio rimane probabilmente il contesto in cui l'arte di Petrucciani si esprimeva al meglio, specie quando ad affiancarlo era una coppia ritmica pronta a recepire e ritrasmettere segnali proficui per lo sviluppo dell'impianto ritmico-armonico. Questo accadde senz'altro con Dave Holland e Tony Williams per la registrazione di Marvellous. Le linee ficcanti e plastiche di Holland e la propensione di Williams a scomporre i metri in figurazioni frastagliate fornivano a Petrucciani ulteriori stimoli per costruire percorsi articolati. Valore aggiunto dell'incisione, il contributo del Graffiti String Quartet, impiegato con discrezione e funzionalit� anche in chiave ritmica, secondo canoni non dissimili da quelli adottati da Max Roach con il suo Double Quartet.

Completamente diversa, e forse sottovalutata, era la sezione ritmica composta da Anthony Jackson al basso elettrico e Steve Gadd alla batteria, presente sia in Trio in Tokyo che in Both Worlds. Non era la prima volta che Petrucciani utilizzava un bassista elettrico: Steve Logan aveva formato con Victor Lewis il tandem ritmico del quintetto che Petrucciani aveva presentato ad Umbria Jazz nel 1991. Tuttavia, all'epoca di Trio in Tokyo e Both Worlds qualcuno storse la bocca, vuoi per l'inedito accostamento, vuoi per i trascorsi di Jackson e Gadd come turnisti nell'ambito della fusion e di produzioni pop di qualit�. Valutazione (secondo il modesto avviso di chi scrive) improvvida e precipitosa, perch� Jackson e Gadd sapevano inserirsi nelle trame di Petrucciani con finezza timbrica e dinamica, oltrech� con swing garbato.

Nel caso di Both Worlds, poi, Petrucciani mise a punto con efficacia la formula del sestetto, potendosi avvalere della collaborazione del veterano trombonista Bob Brookmeyer anche in veste di arrangiatore e dell'apporto degli italiani "espatriati" Flavio Boltro alla tromba e Stefano Di Battista all'alto e al soprano. In tal modo le esecuzioni godevano di un respiro ampio, alimentato da soffici intrecci polifonici e delicati impasti timbrici.

In un alveo strettamente aderente alla tradizione opera con swing impareggiabile la coppia George Mraz-Roy Haynes in Flamingo, che mette Petrucciani a confronto con il decano del jazz francese (e pioniere del jazz europeo), il violinista St�phane Grappelli. La dialettica fra due generazioni diverse del jazz d'Oltralpe produce spunti melodici pregnanti, condensati in curve sinuose. Il terreno di incontro prescelto � in massima parte quello degli standards, reinterpretati con una sensibilit� armonica spiccatamente europea e con un'impronta ritmica moderna, grazie al contributo determinante di Mraz e Haynes. Non inclusa nel CD originale, "Pennys from Heaven" (la grafia corretta sarebbe "pennies") era apparsa su un CD 7" pubblicato a scopo promozionale.

Tocco nitido, acuta sensibilit� armonica, mirabolante fluidit� di fraseggio, unite alla conoscenza enciclopedica del vocabolario jazzistico, permettevano a Petrucciani di affrontare con la massima disinvoltura l'ardua pratica del piano solo. Gi� nel suo secondo disco come titolare (Date With Time, registrato per la OWL nel dicembre 1981) il 19enne Petrucciani aveva scelto di confrontarsi in solitudine con il proprio strumento senza indulgere affatto nella celebrazione della tradizione. Componevano la scaletta due brani originali, la "Afro Blue" di coltraniana memoria, la fin troppo eseguita "Round Midnight" di Monk, "Rumpin' on the Sunset" di Wes Montgomery, pi� "Memphis Green", firmata da uno dei suoi maestri: Charles Lloyd. A proposito di Lloyd e Coltrane, vale la pena di sottolineare l'interesse di Petrucciani per il linguaggio dei sassofonisti, di cui aveva introdotto nel proprio stile alcuni tratti caratteristici, come la costruzione di certe frasi scattanti in legato. So What contiene ben tre brani tratti da Solo Live In Germany, che fanno risaltare la predilezione di Petrucciani, anche come compositore, per la melodia e per la costruzione di temi molto cantabili.

Dreyfus Night In Paris raccoglie estratti da un'esibizione parigina nel luglio 1994 di un gruppo estemporaneo coordinato dal bassista Marcus Miller, con Petrucciani in veste di maestro di cerimonie. Frutto del caso (Miller si trovava a Parigi col proprio gruppo), dell'intuizione e dell'intraprendenza di Francis Dreyfus, e della passata collaborazione tra Petrucciani ed il batterista Lenny White. L'impronta davisiana � netta, per gli arrangiamenti curati da Miller, per l'inclusione in scaletta di "Tutu", nonch� per la contemporanea presenza del sassofonista Kenny Garrett (all'epoca membro del Marcus Miller Group) e di White, con Davis ai tempi di Bitches Brew.

A prevalere, come si diceva, � la regia di Miller, con accenti funky irrobustiti dal proverbiale stile slapping del bassista, trame ritmiche squadrate e largo spazio alle digressioni dei solisti, tra i quali si segnala Garrett per l'approccio sanguigno all'alto ed il fraseggio appuntito al soprano. Risente di quest'impostazione anche l'esecuzione di un brano cantabile come "Looking Up" di Petrucciani, che del resto - al pari del chitarrista Bir�li Lagr�ne - si adegua con umilt� e spirito ludico ad un contesto per lui inusuale. Ci� gli consente di accentuare certe caratteristiche marcatamente ritmiche del suo pianismo e di intensificare quindi i tratti secchi e percussivi del tocco, venato di un senso del blues assolutamente consono e complementare alla dimensione elettrica voluta da Miller.

Con un provvidenziale balzo all'indietro, ripescandolo dal prezioso catalogo della OWL, la Sunnyside ha curato la riedizione di Michel Petrucciani, disco d'esordio come titolare del pianista, all'epoca dell'incisione (aprile 1981) poco pi� che 18enne. Un debutto formidabile, in cui il giovanissimo Michel calava immediatamente tutte le carte a sua disposizione, dimostrando una sorprendente maturit� sotto il profilo esecutivo e progettuale.

Coadiuvato da una delle migliori e pi� affiatate ritmiche espresse dal jazz europeo (Jean-

articolo preso da Enzo Boddi

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