domenica 9 marzo 2008

Tredici variazioni sul tema


Luke Cianelli Il Manifesto

Il destino "più di ogni altra cosa" provoca le Tredici variazioni sul tema (13 conversations about one thing) di Jill Sprecher, regista del midwest per un film newyorkese, di quel genere indipendente che capta le ombre di Tribeca e dintorni, a due passi dalla torri che non ci sono più. Realizzato prima dell'11 settembre e presentato alla Mostra di Venezia 2001, è quasi un presagio nel suo sonnambulismo estatico, nei percorsi di cinque personaggi che variano il tema di quel "destino favoloso" di Jeunet, senza la favola di Amélie, ma con lo stesso impegno nel contrastare la sfortuna. Un tema ricorrente dell'ultimo cinema, sul set di una Manhattan incrocio di fantasmi, dove molti si sentono in balia degli avvenimenti, senza più un'idea di sé, persi nella folla della quinta strada, urtati dal caso. [+]
Il destino "più di ogni altra cosa" provoca le Tredici variazioni sul tema (13 conversations about one thing) di Jill Sprecher, regista del midwest per un film newyorkese, di quel genere indipendente che capta le ombre di Tribeca e dintorni, a due passi dalla torri che non ci sono più. Realizzato prima dell'11 settembre e presentato alla Mostra di Venezia 2001, è quasi un presagio nel suo sonnambulismo estatico, nei percorsi di cinque personaggi che variano il tema di quel "destino favoloso" di Jeunet, senza la favola di Amélie, ma con lo stesso impegno nel contrastare la sfortuna. Un tema ricorrente dell'ultimo cinema, sul set di una Manhattan incrocio di fantasmi, dove molti si sentono in balia degli avvenimenti, senza più un'idea di sé, persi nella folla della quinta strada, urtati dal caso. Così le storie si intrecciano, e seguono traiettorie imprevedibili in questo film amaro dal retrogusto sweet: basterà un gesto impercettibile perché la piuma di Forrest Gump lieviti altrove e riaccenda speranze. Film di attori e di scrittura (sceneggiatura di Jill - scoperta al Sundance nel 1997 con Cloackwatchers - e della sorella Karen Sprecher), Tredici variazioni sul tema allude a un Hal Hartley meno allucinato, ma ugualmente febbrile negli intrecci thriller che muovono un assicuratore frustrato, Gene (Alan Arkin) con figlio tossico; un marito inquieto, Walker (John Turturro) che lascia la moglie amata, Patricia (Amy Irving) per "cambiare vita" con una collega insegnante alla N.Y.U., Helen (Barbara Sukowa); un giovane avvocato rampante (Matthew McConaughey) e arrogante, spezzato da un incidente d'auto in cui crede di aver ucciso una ragazza, Beatrice (Clea DuVall). E lei, la ragazza delle pulizie, che sopravvive, ma perde la gioia di vivere, convinta che la vita "sia ingiusta" perché a uno fa vincere la lotteria e all'altro lo investe all'angolo di una strada, di notte, mentre la camicia bianca che deve consegnare vola via, sollevata da un vento improvviso. Perché proprio in quel momento? Non c'è nessuna risposta. È il destino. E se in Serendipity, il gioco delle probabilità creava mille occasioni per i due innamorati tra l'Astoria Waldorf e il Rockfeller Center, qui la cappa angosciante avvolge in spirali dark i cinque personaggi. Il perito dell'assicurazione Alan Arkin, inacidito a tal punto da licenziare per scommessa un impiegato del suo ufficio troppo ottimista, sembra l'avaro Scrooge di Dickens, che un bel giorno si ravvede perché ha visto il suo atroce futuro. Il film infatti slitta in variazione non solo emotive ma anche spazio-temporali seguendo uno spunto autobiografico della regista. Jill Sprecher nei primi anni `90 è stata aggredita durante una rapina a NewYork e ha subito un grave trauma cranico. Un anno dopo uno sconosciuto in metropolitana la colpisce senza motivo sulla testa. Flash disperato, che torna in una delle scene più forti del film, quando, come nella realtà, qualcuno sorride a una donna morta dentro, Amy Irving, glaciale e ormai "senza mondo" come direbbe Heidegger per una pietra. Amy-Patricia risponde al sorriso ed esce dallo stato di sbalordimento, ri-nasce. La stessa cosa accadde a Jill Sprecher, che trasmette nel suo film l'onda esultante della rivincita sul destino. "Sono felici coloro che resistono", "Domandati se sei felice" e altri frasi del genere, haiku da cioccolatino, appiano scritti sullo schermo, capitoli di un unico dramma condiviso dai cinque solitari newyokesi, incanalati nella routine metropolitana, e che tutti, alla fine, frantumeranno con l'impercettibile variazione di uno sguardo.
Da Il Manifesto, 5 aprile 2002


da link
http://www.mymovies.it/recensioni/?id=33903

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